Ricordava di essere rimasta in piedi di là dalla staccionata, con Rupert dall’altra parte. Discussero per qualche minuto, e dal modo in cui lui parlava, dal modo in cui la guardava, aveva capito di non essere la sola a ricordare quel sogno.
“Dopo quel giorno però…”. Ana sospirò leggermente. “Niente. Niente per mesi e mesi. Niente parlare, niente toccarsi, niente. Io e Rupert diventammo nuovamente due estranei. Non fu terribile. Non me ne restai in casa a guardare fuori dalla finestra per un anno. Andavo a scuola, prendevo buoni voti, mi facevo il culo per portare a termine il lavoro per la comunità. Non potevo prendere la patente finchè non avessi compiuto diciotto anni, ma la segretaria di Rupert, Annabelle, mi scarrozzava in giro in macchina. Me la passavo bene. Non era una vita da sballo, ma sopravvissi”.
Pascal si rigirò e le si avvicinò. Le prese le ginocchia tra le mani e si mise le gambe di lei intorno alla vita, in modo che fossero faccia a faccia. Lei si rilassò tra le sue braccia e appoggiò il mento sulla sua spalla.
“Sono felice che tu sia sopravvissuta”, mormorò. “Altrimenti non saresti qui”.
“Oh, sono sopravvissuta, sì. E la cosa divertente è che più avanti nella vita, dopo essere diventata una scrittrice, ho capito cosa aveva fatto Rupert, e perchè”.
“Ovvero?”
“E’ un trucco di chi scrive narrativa”, spiegò. “Immagini quale sia la paura più grande del tuo protagonista, poi fai in modo che si trovi ad affrontare proprio quella paura”.
“E’ quello che ti fece fare?”
“Perderlo, perdere il suo amore era la mia paura più grande. E lui ha fatto in modo che affrontassi questa cosa. L’ho affrontata, l’ho superata. E in fin dei conti..”.
Ana si interrupe per baciare il collo di Pascal, per la semplice ragione che doveva essere baciato.
“In fin dei conti, quel tempo da sola mi fece diventare quella che Rupert aveva sempre detto che ero”.
“Ovvero?”
Ana si tirò indietro e rivolse a Pascal il suo sorriso più malizioso. Alzò un dito a indicare che aspettasse. Pascal sollevò un sopracciglio. Lei scivolò via dalla stretta delle sue braccia, scese dal letto e prese qualcosa dalla valigia.
Il suo frustino rosso da equitazione.
Lo tenne davanti a sé, con la punta rivolta al centro del petto di Pascal.
“PERICOLOSA”, annunciò lei.
Pascal sorrise, con le labbra appena aperte e il respiro che si faceva più rapido.
“Vedi”, continuò lei, lasciando che la punta del frustino si appoggiasse nell’incavo del collo di lui, “quando affronti la tua paura più grande e la superi, ti resta forse qualcosa di cui aver paura?”
Pascal si leccò le labbra. Il suo petto di alza e si abbassava.
“Rispondimi”. Ana fece scorrere il frustino sotto il mento di lui e lo costrinse a sollevare la testa di qualche centimetro.
“Niente”, replicò Pascal.
“Il mio timore più grande era vivere senza Rupert e ci sono riuscita. Non ne avevo più paura, e non avevo più bisogno di nessuno. Volevo lui, ma non avevo bisogno di lui. Lui però aveva bisogno di me. “
“Ci credo”, osservò lui.
Ana lo guardò.
“Adesso, Pascal, dimmi di cosa hai paura”.
“Ho paura che questa sarà la nostra unica notte insieme, e che vivrò il resto dei miei giorni senza più incontrare una donna come te”.
“Non posso prometterti che passeremo un’altra notte insieme, ma posso garantirti questo: Non incontrerai un altra donna come me”.
Non aggiunse però che non incontrare un’altra donna come lei fosse probabilmente una cosa buona.
Lui non sembrava pensarlo, comunque. Un sorriso sexy e allusivo gli attraversò le labbra.
“Dimostramelo”
Dimostrarlo?
Be’ se proprio insisteva…
Ana afferrò Pascal dietro il collo, costringendolo a guardarla in faccia.
“Mi farai male?”, le chiese, con la voce che conteneva in ugual misura paura e trepidazione.
“Non stanotte”, disse lei, ricordando la notte in cui aveva posto a Rupert praticamente la stessa domanda e lui le aveva dato quella stessa risposta. “Stanotte è solo per piacere”.
Baciò Pascal con tutta la passione brutale che solo chi è ferito possiede e vuole disperatamente guarire. Lo baciò come se le labbra di lui contenessero il significato della vita e perciò, se lei l’avesse baciato con sufficiente intensità e dolcezza, e l’avesse fatto abastanza a lungo, questa verità sarebbe passata a lei, sulle labbra, e lei così avrebbe potuto afferarla tra i denti e ingoiarla tutta intera.
Ana fece stendere Pascal di schiena, senza mai interrompere il bacio. Lui si mosse per cingerla con le braccia, ma lei gli prese i polsi e li spinse sul letto, sopra alla sua testa.
“Stai lì”, gli ordinò. “Non ti muovere. Voglio farti venire”.
“Sono tutto tuo,Ana”.
Adorava il modo in cui pronunciava il suo nome.
“Dovrei farmi chiamare “Padrona””.
“Vuoi essere la mia Padrona?”
“Ti piacerebbe ?”
“Se ti appartenessi, se fossi tua proprietà, realizzerei uno dei miei più grandi sogni. Ma dato che non ti appartengo, ti chiamerò Ana”. Le parole di Pascal la mettevano in imbarazzo.
“Che sia Ana, allora”, ripetè lei. “Ora fai il bravo e non venire finchè non te lo dico io”.
Lui annuì e fissò gli occhi al soffitto, mentre Ana gli allargava le ginocchia e si sistemava nel mezzo. Si leccò la punta di un dito e lentamente glielo mise dentro. Andò in profondità, ma non troppo. Si fermò quando Pascal ansimò di piacere.
“Ti piace?”
“Parfait”. Lui teneva ancora gli occhi al soffitto, come se fosse troppo imbarazzato per guardarla mentre lei lo toccava in modo così intimo.
“Bene”. Tirò fuori il dito dalla stretta fessura e prese il frustino. Lo fece schioccare una volta prima di afferrarlo al centro. Con attenzione infilò dentro di lui l’asticella del manico per qualche centimetro. “I frustini non sono fatti solo per far male”.
Pascal non disse nulla. Sembrava che avesse perso la favella. Ana glielo prese in mano e accarezzò la sua incredibile erezione. Poi abassò la testa e leccò dalla base alla punta, poi di nuovo per tutta la lunghezza del pene.
Pascal gemette e strinse le lenzuola. On c’era niente che le piacesse di più che far contorcere un bell’uomo.
“Sei mai stato con una donna che ti inculava e ti succhiava il cazzo allo stesso tempo?”, gli chiese interrompendosi.
“Sì, se conti anche le dita”.
“Lo faccio io adesso. Ma non preoccuparti, non ho ancora finto con la mia dimostrazione”.
Lo succhiò ancora, cacciandoselo in bocca fino in fondo. Forte, più forte, così forte da farlo ansimare.
“Sei pronto a venire per me?”, gli domandò in francese. Era una delle prime frasi che le aveva insegnato Alain.
“Oui”.
“Non ancora”, disse lei, in un sussurro. “Non..ancora…”.
Continuò a leccarlo per il proprio piacere, godendo di quella pelle vellutata, quel sapore di terra, la pienezza di Pascal nella bocca. Dolcemente, estrasse il manico del frustino da dentro di lui. Poi si alzò, e glielo prese in mano e gli massaggiò il pene con delle carezze prolungate ed esperte.
“Vai lì per me”, gli ordinò.”Vai proprio sull’orlo del tuo orgasmo e restaci. Ci sei?”
Pascal annuì e strinse gli occhi.
“Resta lì sul bordo, senti quanto è tagliente quel bordo, Pascal”.
“Fa male”, ansimò lui stringendo i denti.
“Lo so. Talvolta il piacere può fare più male del dolore. Tra 4 secondi ti farò venire”.
Allungò un braccio e prese il bicchiere vuoto di vino dal comodino.
“Un.. duex… trois.. quatre”, disse lei, e gli mise il bicchiere sopra alla punta. Lui venne dentro, ricoprendo i lati con il suo seme e contorcendosi per l’intensità dell’orgasmo.
Dopo che ebbe raccolto ogni goccia del suo sperma, Ana alzò il bicchiere facendolo illuminare dal fuoco del camino.
Pascal aprì gli occhi e si appoggiò sui gomiti, guardandola.
Lei prese la bottiglia aperta di vino e ne versò un dito nel bicchiere. Lo fece girare, lasciando che bagnasse i lati del bicchiere.
“I due frutti della tua fatica in uno stesso calice”, esclamò. “Santè”.
Si portò il bicchiere alla labbra.
“Ana…”, ansimando, Pascal disse il suo nome.
In tre grossi sorsi, lei bevve tutto il vino.
“La mia annata preferita”, osservò.
Pascal si tirò su e la guardò, mentre il suo petto si alzava e si abbassava rapido.
“Hai vinto tu”, mormorò.
“Lo sapevo”, replicò lei e ripose il bicchiere. “Conosco anche un giochetto simpatico con il whisky, ma non bevo più superalcolici. Edward non me lo permette”.
Senza dire una parola, Pascal la fece sdraiare supina e la baciò con una passione incredibile, da togliere il respiro. La sua lingua s’immerse nella bocca di Ana come se cercasse il suo stesso sapore sulla lingua di lei.
“Sei periolosa”, le sussurrò Pascal sfiorandole le labbra. “Puoi fare in modo che un uomo voglia cose che non può avere”.
Pascal fece un respiro tremante, come se cercasse di calmarsi. Si stccò da lei e si distese di nuovo sul suo lato del letto.
“Parlarmi, prima che ti leghi al letto e non permetta a nessuno dei due di allontanarci da qui”, l’avvertì Pascal.
Ana rise e si stese di fianco per guardarlo.
“Dovrei raccontarti di quando ho conosciuto tuo padre”, annunciò.
“Quando l’ho conosciuto davvero”.
“Com’era?”
“Molto diverso da te”, ridacchiò lei.
“Tanto brutto?”
“Per niente. Quella casa in cui vagavo mentre c’era un’orgia in corso, quella era casa di tuo padre”.
“Sinceramente, posso dire di non avere mai partecipato a un’orgia. Anche se il giorno in cui vendemmiamo e pigiamo l’uva ci si avvicina”.
Ana sorrise. Le sarebbe piaciuto partecipare alla vendemmia con Pascal. Forse ci sarebbe dovuta tornare di nascosto. Se la coscienza glielo permetteva.
“Sarai felice di sentire che quando ho conosciuto tuo padre c’erano anche una o due bottiglie di questo vino, forse persino quattro”.
“Ha buon gusto in fatto di vino e di donne”, osservò Pascal sorridendo.
“Dove eravate?”
“Non indovinerai mai, considerando che c’era tuo padre. Ma la prima volta che io e Alain abbiamo parlato, tra tutti i posti possibili, è stato in laboratorio”.